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16 October 2024
Il transfer pricing è un metodo utilizzato per stabilire il valore, e di conseguenza il prezzo, dei beni e servizi scambiati all’interno delle operazioni tra società appartenenti allo stesso gruppo. In pratica, regola le transazioni economiche che avvengono tra società affiliate situate in diversi paesi dell’Unione Europea.
Spesso, queste società intrattengono rapporti economici reciproci, e il transfer pricing serve a determinare il cosiddetto “valore normale” dei beni e servizi scambiati tra di esse, soprattutto quando operano in giurisdizioni fiscali differenti.
L’obiettivo principale di questo procedimento è evitare che i gruppi multinazionali possano trasferire il proprio reddito imponibile da paesi con tassazione ordinaria a quelli con fiscalità agevolata, sfruttando le operazioni infragruppo. Così, si contrasta la riduzione della base imponibile in uno stato a favore di un altro, quando queste transazioni sono messe in atto solo per ridurre il carico fiscale. Data la complessità del tema, si è resa necessaria un’armonizzazione normativa a livello europeo per garantire un approccio comune e uniforme tra i diversi stati membri.
Ambito di applicazione soggettivo
La disposizione dell’art. 110 co. 7 del TUIR si applica alle operazioni con società non residenti che, direttamente o indirettamente:
A norma dell’art. 2 co. 1 del DM 14.5.2018 la disciplina dei prezzi di trasferimento di cui all’art. 110 co. 7 del TUIR opera in presenza di “imprese associate”, definite come l’impresa residente nel territorio dello Stato e le società non residenti allorché:
Per “partecipazione nella gestione, nel controllo o nel capitale” si intende:
Definizione di “impresa residente”
L’ art. 2 del DM 14 maggio 2018 utilizza il termine “impresa” per indicare il soggetto residente in Italia a cui si applica la normativa sul transfer pricing.
In passato, la Circolare Ministeriale del 22 settembre 1980 n. 32/9/2267 (capitolo I, § 3) individuava come destinatari della “vecchia” normativa sui prezzi di trasferimento le imprese italiane, indipendentemente dalla loro forma giuridica. Ciò includeva non solo le società di persone e di capitali, ma anche le imprese individuali e le stabili organizzazioni di società estere presenti in Italia.
Questa impostazione sembra essere confermata dall’art. 2 del DM 14 maggio 2018, che non sembra estendere immediatamente la disciplina alle persone fisiche, ai trust o agli enti non commerciali che controllano società estere. Tuttavia, esistono alcune situazioni in cui anche questi soggetti potrebbero essere coinvolti.
Infatti, lo stesso art. 2 prevede che si possa parlare di “imprese associate” quando “lo stesso soggetto partecipa, direttamente o indirettamente, nella gestione, nel controllo o nel capitale di entrambe le imprese”. Questa disposizione sembra mirata a includere i casi in cui le imprese associate siano soggette al controllo comune di persone fisiche, trust, fondazioni o altri enti non commerciali, poiché utilizza il termine “lo stesso soggetto” invece di “impresa”.
Definizione di “impresa non residente”
In base al testo dell’art. 2 del DM 14 maggio 2018, i soggetti non residenti che non assumono la forma giuridica di società dovrebbero essere esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina. Tuttavia, sembra possibile concludere quanto segue:
Ambito di applicazione oggettivo
La normativa si applica quando si verifica un'”operazione controllata”, definita come “qualsiasi operazione di natura commerciale o finanziaria tra imprese associate”, che deve essere delineata accuratamente in base ai termini contrattuali oppure in base al comportamento effettivo delle parti, se diverso dai termini contrattuali o in mancanza di essi” (art. 2, comma 1, lettera d) del DM 14 maggio 2018).
Al contrario, le operazioni tra imprese indipendenti, dette “operazioni non controllate”, non rientrano nell’ambito di applicazione di questa disciplina.
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